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PARARE È SCUOLA DI VITA

Alcuni genitori reputano il ruolo del portiere marginale per i propri figli. È un errore, è un compito dalla grande valenza educativa e formativa per il bambino.

Finisco di parlare con due genitori circa le loro titubanze sulla scelta del figlio di fare il portiere e mi accingo ad andare via dal centro sportivo dove mi trovo. Sono pensierosa e non sono convinta che papà e mamma abbiano compreso. Non credo abbiano capito il mio tentativo di spiegare loro che scegliere di giocare tra i pali non è, come pensano, l'ultima spiaggia per rimanere in campo dopo essersi reso conto di non essere portato per fare il calciatore... Tantomeno è un ruolo che lo relega in uno spazio dove sarà coinvolto marginalmente nelle partite e vincolato soltanto a un’inevitabile condizione di capro espiatorio.

 

STARE IN PORTA AIUTA A CRESCERE

Ho cercato di far capire loro che stare in porta è molto di più. Fa crescere il carattere del bambino perché lima i suoi aspetti spigolosi, è un ruolo esposto a molte frustrazioni e di conseguenza altamente educativo. Rifletto sul volto assorto dei genitori che ascoltano le mie parole. Poi succede che camminando per raggiungere la macchina passo di fronte a un campo di calcio ormai avvolto dal silenzio, i giocatori sono andati tutti a casa. Una scena mi rapisce, come se volesse condividere con me l'amore che nutro per tutti i miei piccoli portieri, mi rapisce al punto da desiderare di immortalarla con una foto... 

Là, dove finisce l'arcobaleno, i colori variegati si trasformano in un varco, in una porta da cui si accede a un mondo quasi perfetto. Un mondo fatto di poesia, scandito dai tuffi nel vuoto e dalle respinte di colui che quel territorio, delimitato dai due pali, protegge e nobilita con amore. Proprio come accade nella vita a ognuno di noi nel contesto che gli appartiene, in quell'area del campo il portiere è il guardiano di se stesso e del proprio territorio. Così quando giungono meteore a forma di pallone tondeggianti come il mondo, insidiose come un dubbio, imprevedibili come un temporale, egli sa che la porta è fatta di arcobaleno. Sa che nelle sue mani tutte le forze dell'universo convergono per trasformarsi in un'irrazionale energia di vita che si conclude nel gesto di parare. Se il portiere blocca un pallone che intendeva beffarlo, egli gioisce dentro, proprio come ognuno di noi quando nella vita si rialza da uno scampato rischio o quando reagisce all'imprevedibilità di un passo falso. Parare è una filosofia di vita che non si frantuma se le mani si fanno sfuggire una meteora di cuoio. Parare è l'estremità dell'iride. È la luce che viola l'ombra dell'incertezza e della rassegnazione, anche quando rimane un tentativo vanificato dalla palla che tocca la rete. Quel gesto trasforma un essere umano nella gioia umettata che segue ogni tempesta, grazie al vigore con cui ci si riconosce dei "numeri uno" sempre e per sempre.

 

IL PORTIERE È PADRONE DEL PROPRIO DESTINO

Numeri uno per se stessi prima di tutto, fautori del proprio destino delle proprie sconfitte e delle proprie vittorie. Prendersi la responsabilità di ciò che decide dei nostri intenti è un'impresa ambiziosa, soprattutto per coloro che temono il rischio di provare. Più semplice affidarsi al fato, a un destino scritto per cui poco si può fare se si vuole prendere in mano la propria vita e dirigerla verso le proprie aspirazioni. Quando si sente dire: «…quella cosa mi è capitata perché doveva accadere…» suona come «...abbiamo perso la partita perché la palla doveva entrare...». Avete mai visto un incontro in cui il portiere si siede inerme tra i pali, perché tanto la palla se è destinata a entrare entra in ogni caso? No... Il portiere tenta ogni volta senza alcuna esitazione di prendere in mano il proprio destino. E così i bambini che decidono di indossare i guanti sono coloro in cui al di là di tutto, anche di due genitori titubanti, domina in modo indiscutibile la convinzione di poter essere padroni e protettori di se stessi. (Foto di copertina Casati)

 

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