CALCIO: IL GENITORE SENZA PASSIONE
L’assenza fisica di mamme e papà a fianco dei giovani calciatori può nascondere un distacco emotivo. Consigli utili su come comportarsi.
Mercoledì 4 Maggio 2016 | Roberto Mauri

L’assenza del genitore durante l’attività sportiva del figlio, specie quando è sistematica, può essere un segnale di disagio. Nel precedente post abbiamo parlato di assenza fisica alle partite, ipotizzando alcune cause e dando suggerimenti in merito. Talvolta, però, la “non presenza” fisica è manifestazione di assenza anche emotiva, che il più delle volte nasce da una incomprensione più profonda e un conflitto irrisolto tra genitore e figlio (spesso inconsapevole o non dichiarato). Queste persone si riconoscono per la mancanza di entusiasmo, quando il bambino o la bambina raggiunge un risultato sportivo brillante (anche una semplice vittoria), e per lo scarso interesse nel dialogo con l’allenatore. Degli istruttori, in realtà, non si fidano realmente, ma a loro tendono a delegare in modo fin eccessivo la gestione del bambino.
UNA SITUAZIONE DELICATA
Sono genitori poco o per nulla collaborativi, preferiscono stare sulle loro e non offrono spunti o aiuto nello stabilire e verificare obiettivi e traguardi, sia sportivi sia educativi. La loro assenza risponde al tentativo di chiamarsi fuori, caricando il figlio dell’intera responsabilità del suo impegno sportivo, come a dire: “l’hai voluto tu”. L’assenza emotiva è aspetto diametralmente opposto alla presenza e intromissione eccessiva, fenomeno cui siamo più abituati perché più evidente, disturbante e su cui è anche più facile intervenire. Per contro il distacco di tipo emotivo è la situazione meno visibile e quella più delicata e difficile da trattare. Occorre procedere con particolare prudenza. Solitamente, infatti, questo atteggiamento nasconde il timore (inconsapevole) del genitore che l’affermazione sportiva del figlio diventi una minaccia alla sua autorità. Da qui la “ritirata” e il “boicottaggio”.
COME COMPORTARSI?
Che fare in questi casi? Anzitutto occorre agire con prudenza, pazienza e sensibilità, evitando di dare giudizi o agire in modo sbrigativo sulla base del semplice buonsenso. Nel dubbio, o nei casi più gravi, è preferibile segnalare la cosa a persone più esperte in materia, dal momento che interagire o “recuperare” questi genitori non è facile. Sul versante dell’allenatore, in ogni caso, è necessario evitare di accentuare la strisciante competizione che caratterizza la relazione genitore figlio, ad esempio mettendoli uno di fronte all’altro, in situazioni nelle quali uno debba avere per forza ragione e l’altro torto. Si tratta, agendo con sensibilità e buon tatto, di spostare l’attenzione da ciò che può generare in madri e padri gelosia o invidia a quanto invece può farli sentire partecipi e necessari. In concreto, il suggerimento è di creare piccole occasioni di ascolto, sollecitandoli a raccontare episodi e momenti del loro passato sportivo e di come questi a loro tempo l’hanno cambiati e aiutati a crescere. Il genitore va aiutato a migliorare la propria “intelligenza emotiva”: un buon esercizio è quello di far vivere lo sport nella sua dimensione emozionale prima ancora che agonistica o atletica.
PROVIAMO A COINVOLGERLI
Una buona occasione può essere quella di assistere, assieme al responsabile della società o altri genitori preventivamente sensibilizzati, a partite diverse da quelle del figlio, anche in televisione, per commentare episodi di gioco emotivamente carichi (recupero di uno svantaggio, sconfitta immeritata, vittoria inaspettata…). In questo modo si può progressivamente passare dall’assenza al dialogo emotivo e quindi raggiungere una probabile migliore accettazione reciproca, al di là dello sport in sé. Il segreto, in ogni caso, è cercare l’alleanza con mamme e papà, mostrandogli quanto i loro atteggiamenti influiscano sulla serenità e la gioia di giocare dei bambini senza colpevolizzarli o emarginarli per i loro eventuali limiti ed errori.