VIAGGIO NEL CALCIO GIOVANILE: IL MILAN
Filippo Galli ci spiega la nuova filosofia del vivaio rossonero, caratterizzata da un percorso di formazione continua per competere, sul piano dei risultati e della qualità, con i più grandi club europei.
Martedì 4 Agosto 2015 | Gianluca Ciofi
Con l’intervista a Filippo Galli, indimenticato difensore centrale del Milan dell’epopea di Sacchi e oggi responsabile del settore giovanile rossonero, inizia il nostro viaggio all’interno dei vivai. Obiettivo fare il punto sull’evoluzione e lo stato attuale delle più importanti scuole di calcio italiane. Cosa è cambiato, quali gli obiettivi, come si lavora e quali le linee guida dei club di maggior prestigio. Il Milan ha recentemente cambiato l’approccio al lavoro, in modo radicale: Galli, alla sua settima stagione a capo del settore giovanile rossonero ci spiega come e perché.
«Il nostro obiettivo, da sempre, consiste nel formare il giocatore per il calcio d’élite. È un compito difficile, devi avere la materia prima, e cioè il ragazzo con determinate qualità, e la capacità di sviluppare il suo talento. Avvertiamo anche una forte responsabilità da un punto di vista sociale, sui quasi trecento ragazzi che compongono il nostro vivaio, infatti, pochi diventano calciatori professionisti di alto livello. Ne consegue che al Milan gli aspetti educativi sono importanti e vengono tenuti in grande considerazione. Questo è ciò che è rimasto invariato rispetto ai primi anni del mio mandato, altro e molto è cambiato.»
FILOSOFIA DI LAVORO UGUALE PER TUTTI
«Benché avessimo ottenuto risultati importanti a partire dal 2012 ci siamo guardati attorno, con l’intento di studiare e progredire. Abbiamo osservato con attenzione alcune fra le realtà europee più prestigiose, quelle che più di altre sono riuscite a crescere giocatori e portarli nelle prime squadre e nelle rispettive nazionali. Lo studio e l’analisi ci ha condotto alla conclusione che era necessario fare un salto di qualità. Ne è scaturita la decisione di adottare una linea unica di approccio al lavoro, sul piano metodologico e dei principi da condividere, per tutte le formazioni; una linea che esprimesse la filosofia del nostro club, cara al nostro presidente. Il Milan vuole essere sempre padrone del gioco e del campo e quindi questo è il punto di partenza per formare i giovani come uomini e come calciatori. Il primo passo è stato condividere l’idea di un lavoro integrato con i nostri allenatori. Nel progetto sono interessate tutte le aree: quella tecnica resta il punto di riferimento ma quella della preparazione atletica quella psicopedagogica, quella fisioterapica, quella video e anche quella logistica e organizzativa sono tutte coinvolte. Facciamo in modo che il nostro approccio al calciatore sia globale, quasi olistico, per allenarlo e crescerlo a trecentosessanta gradi. Non è stato semplice far recepire la svolta, veniamo tutti da un metodo molto tradizionale. Siamo abituati a trasmettere ai giocatori i nostri principi e le nostre idee col risultato che anno dopo anno i ragazzi, incontrando allenatori diversi, maturano esperienze diverse che possono arricchire ma anche confondere, perché in contrasto con quanto appreso in precedenza. Non è un modo sbagliato di fare settore giovanile, intendiamoci, è l'attuale modello di riferimento in Italia.»
IL PERCHÉ DELLA SVOLTA E LE DIFFICOLTÀ INIZIALI
«Noi abbiamo voluto cambiare e da due anni stiamo lavorando in modo differente, ovviamente con difficoltà, c’è bisogno di tempo per assorbire idee e nuove metodologie. Non è semplice mettere al tavolo sette, otto, dieci persone facendole discutere sulla programmazione dell’allenamento, sui carichi di lavoro o sul perché scegliere un determinato esercizio. Ci si deve poi abituare ad analizzare assieme gli aspetti tecnici, tattici e atletici; tenendo conto dei carichi cognitivi, ottimizzando l'utilizzo dello spazio e delle attrezzature, abituandosi a condividere le logiche di un lavoro svolto in team. Abbiamo dovuto fare della formazione perché non puoi decidere, dare delle indicazioni e quindi pensare che tutto funzioni di conseguenza. C’è bisogno di continui rimandi, momenti di incontro in cui i tecnici e tutte le figure coinvolte siano formate per imparare a vedere e vivere in modo diverso l’essere e far parte di un settore giovanile. Riteniamo che sia la via migliore per crescere i ragazzi. Cerchiamo di preparare il giocatore ad affrontare qualsiasi tipo di calcio, proponiamo un modello di gioco articolato nel quale in tanti partecipano alla costruzione della manovra. Non siamo per un calcio che prevede per esempio che dalla zona di costruzione si lanci immediatamente in attacco per poi accorciare in avanti. Questo perché crediamo che il giocatore debba giocare più volte il pallone e affrontare molteplici situazioni, perché ciò si tramuta in esperienza e nella capacità di risolvere i problemi che il gioco propone È un po’ come crearsi un curriculum, nel quale la somma delle conoscenze scandiscono la tua crescita professionale.»
Questo comporta un impianto di gioco stabile o che si adatta alle caratteristiche dei giocatori?
«Se abbiamo una filosofia, per poterla sviluppare cerchiamo giocatori con certe caratteristiche. Il modello di gioco che vogliamo esprimere, però, è pensato in funzione della crescita del giocatore, in modo da fargli acquisire l'esperienza necessaria per adattarsi alle differenti richieste da parte dei mister che incontrerà una volta giunto in una prima squadra. Se noi abituiamo il ragazzo a far partire l’azione dal basso e a passare per il centrocampo prima di arrivare in zona di conclusione non credo che si troverà in difficoltà rispetto nell'assolvere richieste più semplici. Un domani se un tecnico dovesse chiedere ai due centrali difensivi di giocare lungo per poi andare ad accorciare nella metà campo avversaria alla conquista della seconda palla, sarà un compito più facile rispetto a quelli che si saranno abituati a risolvere nel percorso di formazione. Ecco perché ritengo che il nostro sia un calcio formativo. Certo siamo solo all’inizio, in una fase nella quale siamo molto attenti a tutto perché ogni momento rappresenta un'occasione di verifica, e soprattutto la partita. La programmazione della settimana di lavoro, per capirci, non la facciamo al termine della gara ma il venerdì, indipendentemente da quanto è successo nell'incontro precedente o succederà in quello successivo. Del resto l'approdo di tre squadre alle finali nazionali non era un “must”, ma la naturale conseguenza del lavoro svolto.»
Fine prima parte - leggi la seconda parte - leggi la terza parte (Nella foto di copertina Davide Calabria, talento cresciuto nel vivaio rossonero)