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COME CAMBIA IL CALCIO IN EUROPA

La prepotente ascesa delle ex cenerentole nelle qualificazioni al prossimo torneo continentale non sorprenda più di tanto. L’opinione di Angelo Pereni.

In questa edizione delle qualificazioni europee fra le nazionali approdate alla fase finale ne contiamo di assolutamente e sorprendentemente nuove. È pur vero che con ventiquattro posti a disposizione qualche colpo di scena era prevedibile, ma dobbiamo constatare che non si tratta di squadre classificate per il rotto della cuffia. Le nazionali rivelazione sono arrivate prime o seconde nei rispettivi gironi, superando "mostri sacri" dell’élite continentale. Islanda, Albania, Galles, Irlanda del Nord e la stessa Austria, fino a ieri, non erano considerate realtà calcistiche importanti. L’Islanda è una piccola isola con meno di trecentomila abitanti (leggi al riguardo l’articolo di Luca Bertolini sul fenomeno islandese), l’Irlanda del Nord non arriva a due milioni. L’Albania ha quasi tutti i suoi giocatori più rappresentativi naturalizzati nelle altre nazionali – con questi sarebbe fra le migliori del continente – e fino a ieri era considerata una cenerentola: bene, s’è qualificata senza i “big”. Si tratta di realtà calcistiche che con perseveranza, organizzazione, spirito di abnegazione e la guida di tecnici capaci sono arrivate a una meta sino a poco tempo fa assolutamente impensabile.

 

LO SCAMBIO HA MIGLIORATO TUTTI

Ma come ci si è arrivati? La risposta è che l’apertura delle frontiere e la globalizzazione hanno trasformato l’Europa in una sola entità, anche calcistica. Tutti giocano ovunque, tutti sanno tutto di tutti, sul piano tecnico, tattico, fisico e organizzativo. Tutti praticano le stesse scuole, sanno fare gli stessi compiti, frequentano gli stessi luoghi. Il risultato è che alla fine tutti hanno finito per giocare allo stesso modo, con la stessa intensità, energia e motivazione. Discepoli scrupolosi e diligenti hanno studiato e imparato, tanto che i maestri allenatori e gli allievi giocatori, a forza di giocare e vivere l’uno di fianco all’altro, si sono identificati, immedesimati e uniformati.

Gylfi Sigurdsson (Islanda), nella foto di copertina Klaas Jan Huntelaar (Olanda, la grande delusione) e Aaron Ramsey (Galles)

MANCANO I FUORICLASSE

Tutti sanno giocare bene anche se mancano, o sono pochi, i fuoriclasse. Ma questo è un pegno da pagare alla globalizzazione calcistica. Tutti bravi ma pochi fenomeni, talmente pochi che non sono più così determinanti. Sono diventati preminenti i concetti di squadra, collettivo e gruppo. Le differenze sono solo nei particolari, nei dettagli, che fanno grandi le piccole nazionali. Sono in via di estinzione le “scuole nazionali” – si pensi all’Olanda vera sorpresa in negativo di queste qualificazioni – perché un modello diventa, da subito, appannaggio di tutti. Una volta studiato, analizzato, provato e ripetuto il modello diventa patrimonio comune, e quindi pronto a essere sostituito, rinnovato e perfezionato. È un calcio che cambia facilmente e rapidamente i suoi valori, e non dobbiamo più meravigliarci se mutano anche gli equilibri fra le diverse nazionali di calcio, perché tutti, ormai, giocano lo stesso campionato.

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