L’ITALIA E I DILEMMI DI SÒFIA
Gli azzurri tornano dalla Bulgaria con qualche certezza in meno, l’analisi di Angelo Pereni reparto per reparto, una diagnosi schietta per capirne di più
Martedì 31 Marzo 2015 | Angelo Pereni
Tralasciando i commenti sulla partita dell’Italia giocata a Sòfia, poniamoci qualche domanda e facciamo alcune semplici constatazioni, una diagnosi sulla squadra azzurra, quello che è e quello che potrà diventare.
LE DOMANDE APERTE
Può una difesa esperta e affidabile come la nostra andare in crisi con squadre che sfruttano l’arma della velocità per sfondare sia centralmente che lateralmente? Verratti è maturo per prendere sulle spalle una squadra che ha centrocampisti di grande movimento ma che lo aiutano poco? In attacco servono altri tipi di giocatori? O meglio, qual è o quale sarebbe la coppia ideale per il sistema di gioco di Conte e per quello che chiede alle sue punte? Il ct deve pensare a qualche novità prendendo distanza dalle sue certezze o deve optare per lievi aggiustamenti tattici e dare un’identità più marcata alla squadra azzurra?
L’Italia vista a Sofia è a tratti bella a tratti brutta. Procede a strappi, assomiglia a uno scolaro molto attento alle lezioni che ogni tanto dimentica quello che ha studiato e in altri momenti lo manda perfettamente a memoria.
LA SQUADRA È LOGORA?
Partiamo dalla difesa. Gli interrogativi sorgono spontanei. I componenti del reparto lavorano insieme da anni, hanno gesti e meccanismi collaudati e sanno gestire lo stress anche sotto pressione. La défaillance di Sofia dipende dalla condizione fisica generale, dalla presunzione, dalla stanchezza mentale, dalla troppa sicurezza maturata nelle vittorie e negli anni. E ne è responsabile anche il centrocampo vittima anch’esso di un certo logorio psicofisico.
La mediana, a volte, non protegge adeguatamente. Responsabili principalmente le mezze ali, costrette a una sfiancante alternanza di proiezioni offensive e ripiegamenti difensivi, in alcuni frangenti non riescono a tenere cuciti i reparti e la squadra si allunga e diventa più vulnerabile alle transizioni avversarie. Inoltre, il sistema di gioco di Conte richiede un play di grande personalità, che sappia dettare i tempi di gioco e tenere corti i reparti. Deve gestire tempi e ritmi, giocando sul corto e sul lungo e, nello stesso tempo, saper interpretare la fase difensiva. Non un marcatore alla vecchia maniera, piuttosto un giocatore che sappia muoversi, con intelligenza, nelle linee di passaggio avversarie, intercettando o quanto meno coprendo. Pirlo con gli anni è diventato un super. Marchisio è sulla sua strada, Verratti, forse per la giovane età manca ancora di scaltrezza e personalità da top player.
UNA MEDIANA INCERTA
Di fianco a Verratti i due centrocampisti di supporto non sono sembrati complementari, almeno per ciò che si è visto in Bulgaria. Hanno mostrato limiti sia da mediani puri sia nei di tempi di gioco, nell’impostazione della manovra e, soprattutto, nella gestione della palla. È mancata, per di più, l’intesa e il collegamento fra il talento pescarese e i tre centrali di difesa. Questi spesso hanno preferito il lancio in verticale all’impostazione dal basso a suo favore.
L'ATTACCO
Anche qui una domanda nasce spontanea. Zaza e Immobile sono compatibili? O servono diverse e migliori soluzioni di gioco? Il bomber del Sassuolo ha lentamente perso un po’ di quell’istintività e brillantezza che inizialmente lo aveva contraddistinto. Immobile, dal canto suo, è vero che lavora tantissimo per la squadra ma questo lo porta a essere poco lucido nei frangenti decisivi, e in gare di questo livello di occasioni ne capitano ben poche. Questa volta le castagne dal fuoco le ha tolte Eder, ma non possiamo affidarci sempre a giocatori che risolvano i problemi partendo dalla panchina.
Se poi parliamo della squadra nel suo complesso dobbiamo rimarcare un po’ di carenza di personalità soprattutto quando vengono a mancare uomini come Pirlo e Buffon. Gli scollamenti fra reparti, la perdita di compattezza ed equilibrio possono essere anche sintomo di poca fiducia. C’è ancora molto da lavorare, soprattutto sul piano mentale e della personalità, un lavoro che il nostro ct sa fare. L’importante è sostenere quello che di buono comunque si è visto e con tenacia, costruire e rimediare a quanto manca per entrare definitivamente nell’elite del calcio mondiale. Un posto che l’Italia merita, ma deve guadagnarsi sudando.