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IL CALCIO CHE ABBATTE LE BARRIERE

“Matti per il calcio”, un evento nazionale, la testimonianza che lo sport crea autonomia, identità, dice no ai pregiudizi e aiuta la psiche

«Ho imparato il diritto umano a essere incasinato e a non nasconderlo dentro»: la spiegazione di che cos’è “Matti per il calcio” è racchiusa in queste quattro parole di Giacomo, 34 anni, da quindici in cura presso la Asl della sua città. A un certo punto l’incontro con il calcio: ciò che era segregazione diventa un resoconto di indipendenza.

E' stata presentata a Roma la “IX edizione di Matti per il calcio”, rassegna nazionale per Dipartimenti di salute mentale organizzata dall'Uisp, che si terrà a Montalto Di Castro (Viterbo), dal 17 al 19 settembre. Parteciperanno venti squadre provenienti da tutta Italia, perché Matti per il calcio è così, nasce dal territorio, da Torino, Roma, Genova, Ancona e via via in Puglia e Sicilia. Una trentina d’anni fa, in maniera spontanea, allo stesso modo in cui la psichiatria ha incontrato il calcio. Un po’ per caso, partendo dall’esperienza e dalla constatazione che lo sport è nei fatti un percorso che crea autonomia e identità, abbatte barriere e pregiudizi.

La presentazione è avvenuta all’interno del seminario nazionale Uisp “Salute mentale e spazi di uguaglianza”, che si è tenuto sabato 18 aprile nella capitale. Nel corso degli interventi è stata puntata l’attenzione sulla salute mentale all’interno di un quadro più ampio, rivolto allo sviluppo di pratiche di uguaglianza, diritti di cittadinanza e alla lotta alle disuguaglianze. Qui, come è stato detto, «è più esplosivo l’arretramento del welfare in Italia, anche in termini di servizi».

IL VALORE AGGIUNTO DEL CALCIO NELLA PSICHIATRIA

Questo concetto è stato ripreso da Italo Dosio, psichiatra del CSM-Centro di Salute Mentale di Susa: qual è il valore aggiunto che crea l’incontro tra calcio sociale e psichiatria, tra un’associazione di promozione sportiva e le istituzioni di salute mentale? «Due cose sostanzialmente – ha detto Dosio – la prima ce l’ha indicata Franco Basaglia negli anni ‘70, quando scriveva che la psichiatria dovremmo incontrarla fuori dalle istituzioni, con la possibilità di mettere al centro le persone e di valorizzare le differenze. L’Uisp fa psichiatria attraverso lo sport, inventa e sperimenta regole adattate ma condivise e rispettate da tutti. E’ molto importante la figura dell’operatore che deve conservare il suo ruolo in campo e fuori. Si tratta di figure professionali che conoscono molto bene i pazienti-giocatori e sono in grado di intervenire in caso di crisi. Loro devono essere i primi a rispettare le regole in quanto incarnano il potere e se non lo fanno diventano una minaccia agli occhi dei pazienti.»

«L’altro valore aggiunto è che l’Uisp sa mantenere una distinzione di ruoli e in un quadro di collaborazione dove si procede uniti. Ovvero: i DSM-Dipartimenti Salute Mentale si occupano della cura, l’associazione sportiva si occupa della funzione di rendere accessibile lo sport, di rendere la pratica vicina ai cittadini, di espanderne in qualche modo il bisogno, proteggendo chi fa sport dal rischio di anonimato. Lo sport insegna a riconoscere il valore dell’altro. Quando parliamo di sport in psichiatria non parliamo di alta prestazione, che in questo contesto produrrebbe crisi e abbandoni, ma parliamo di sport per tutti.»

 

LO SPORT LIBERA SÉ STESSI E IL PROPRIO ESTRO

Si sperimenta il senso di libertà, il proprio estro sportivo. Ci sono persone mai uscite di casa che grazie all’appartenenza a una squadra e al fatto di indossare una maglia si aprono al rapporto con gli altri. C'è chi incomincia spontaneamente a curare di più l’igiene personale e l’abbigliamento. C'è chi incomincia a far pace col proprio corpo. Sono questi gli indizi esteriori che ci descrivono i.... “GOOOOOOL!”

Forse l’Utopia di cui parlava Edoardo Galeano era un po’ questa. Lo scrittore uruguaiano, scomparso a Montevideo lo scorso 13 aprile, amava il calcio e i suoi protagonisti assoluti come pochi al mondo: «l’utopia è là, all’orizzonte. Mi avvicino di due passi e lei si allontana di due passi… per quanto cammini, mai la raggiungerò. A che serve l’utopia? Serve a questo: a camminare».

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