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CALCIO: FUORIGIOCO E SCELTE TATTICHE

Dall’impossibilità di passare il pallone in avanti alle dispute accese sulla posizione passiva o meno dell’ultimo attaccante.

Il fuorigioco, o “offside”, termine originale così come pensato dagli inglesi padri fondatori del calcio è una delle regole (se non la regola) che per eccellenza caratterizza questo sport. Tutt’oggi, dopo oltre un secolo, giocate al limite di questa norma decidono partite, generano discussioni epocali e irrisolte in tivù oltre a dispute accesissime nei bar.

 

PIÙ RUGBY CHE CALCIO

La regola numero 6 delle quattordici della prima codificazione ufficiale del gioco del calcio opera della Football Association nel 1863 era rigidissima, integralista meglio dire. “Quando un giocatore ha calciato il pallone ogni giocatore della sua squadra si trovi più vicino di lui alla porta avversaria è fuori gioco”. Praticamente rugby, sport dal quale il calcio era nato e a partire da quell’epoca cominciò a distaccarsi in modo definito e chiaro. Il calcio, similmente al nobile ma più rude patrigno, era pensato come un gioco dedicato al dribbling, l’esaltazione di chi, con i piedi anziché con le mani, riusciva a superare (avendo il possesso del pallone) l’avversario, altrimenti doveva passare la palla sì… ma indietro. Nel 1866, mentre la lenta ma inesorabile trasformazione da gioco di dribbling puro a gioco fatto di passaggi aveva avuto inizio, la regola fu modificata. Veniva punito chi giocasse in avanti avendo davanti tra sé e la porta avversaria meno di tre giocatori (portiere compreso).

 

L’INVENZIONE DELLA “TRAPPOLA” DEL FUORIGIOCO

Quando nel calcio fu introdotto e prese piede il Metodo (leggi i post dedicati alla storia della tattica) e cioè il sistema di gioco che prevedeva l’utilizzo di due difensori (terzini) in linea e affiancati non ci volle molto a scoprire il “trucchetto” vincente. Grazie a due lungimiranti difensori inglesi (Morley e Montgomery del Notts County) venne inventata la trappola del fuorigioco. Uno dei due un attimo prima del lancio avversario si proiettava fulmineamente in avanti oltre l’ultimo attaccante e… tac, il (fuori) gioco era fatto! Lentamente l’intelligente interpretazione difensiva della regola prese piede, gli attaccanti retrocedevano sempre di più, gli arbitri fischiavano in continuazione l’offside e il numero delle reti cominciò a calare facendo scemare lo spettacolo.

L’EVOLUZIONE SINO AI GIORNI NOSTRI

Per difendere l’appeal del calcio l’International Board nel 1924 intervenne introducendo il fuorigioco passivo: veniva giudicata valida la posizione del calciatore che non interferiva con un avversario o col gioco. Successivamente si fecero scendere a due gli avversari che dovevano essere tra chi riceveva il passaggio e la linea di porta (in pratica uno, perché l’altro era il portiere). Le novità ottennero l’effetto sperato e le partite di calcio tornarono a essere ricche di gol. Gli allenatori, non certo felici di subire valanghe di reti, furono costretti a trovare soluzioni tattiche più adeguate. Nasce così il “Sistema” (l’1-3-2-3-2) inventato dall’allora tecnico dell’Arsenal Chapman che introdusse la figura dello stopper fra i due terzini. Sulla base della sempre più affinata capacità tattica delle squadre e dell’intelligenza dei tecnici la regola del fuorigioco è arrivata a essere rimodulata così come la si conosce ai giorni d’oggi. L’introduzione della liceità della posizione dell’attaccante in linea con l’ultimo difensore e l’elaborazione di un concetto ancora più sofisticato di fuorigioco passivo sono le ultime recenti novità.

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