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Per crescere il giocatore bisogna spingerlo a provare, rischiare, mettersi in gioco, sul serio, e poi sostenerlo aiutandolo a superare delusioni e difficoltà.

Tempo addietro ero a Cervia con Massimo De Paoli, Ivan Zauli e Matteo Camoni, e nella consueta chiacchierata finale è emerso con forza un concetto chiave per chi allena in un settore giovanile. Tanto più nelle prime fasce d’età. In quella delicata fase della crescita, infatti, il calcio deve essere realmente gioco, per consentire al bambino di provare e sperimentare, conoscere se stesso, il proprio corpo e acquisire consapevolezza nel rapporto con la palla. Un concetto che Massimo De Paoli ha proposto con forza e io provo a tradurvi. Troppo spesso, infatti, si precocizza l’insegnamento della tattica, si telecomandano i piccoli giocatori, cercando di compensarne i limiti con un gioco che permetta di vincere. Peccato che l’obiettivo non sia quello, perché chi schiera i prepuberi o cerca ogni strada per vincere fa il male dei giocatori e della propria società, togliendo spazio a potenziali talenti o limitando la crescita e l’apprendimento di chi potrebbe arrivare solo se lo lasciassimo sbagliare. Per far questo però si deve essere, per primi, disposti a prendere un gol, a perdere una partita, facendo vivere queste esperienze ai bambini come un passaggio naturale per crescere, migliorare e diventare più forti.

SEMINARE E ASPETTARE

Si devono gettare semi che germoglieranno nel settore agonistico, e permetteranno di schierare persone consapevoli, anche di poter sbagliare, e disposte a giocare… sul serio. Solo in questo modo si può passare da un gioco teso a distruggere e ripartire, basato sulla frustrazione del talento e la mera ricerca di un risultato fine a se stesso, a un percorso che permetta realmente di far crescere un giocatore che:

  • cerchi di saltare l’uomo;
  • attacchi lo spazio,
  • avanzi invece di indietreggiare sistematicamente.

Un calciatore che, provando, sbagliando e imparando, tramite una sorta di super compensazione mentale, diventi più forte e consapevole e, soprattutto, possa avere l’opportunità di sperimentare e acquisire le doti tecniche indispensabili per scendere in campo con un atteggiamento diverso e non velleitario o fine a se stesso. E allora, forse, rivedremo dribbling, gol e gesti tecnici che, a qualunque livello, riporteranno il pubblico nel piccolo campo di periferia come nel grande stadio, per il piacere di vedere un gioco del calcio che spesso osserviamo solo in televisione nelle partite di calcio internazionale.

Clicca e leggi gli articoli di Massimo De Paoli.

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