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CALCIO, SCUOLA DI VALORI E DI VITA

Lo sport riveste un ruolo fondamentale nel trasmettere autostima e il valore del sacrificio nei giovani, allontanandoli dai rischi della strada.

Un alpinista potrebbe arrivare in cima alla montagna con un elicottero, ma non vivrebbe la soddisfazione e la sensazione adrenalinica procurata dal rischio e dalla fatica che si prova in una scalata. Un maratoneta allo stesso modo potrebbe percorrere i suoi quarantadue chilometri e rotti con un mezzo di trasporto. Un calciatore potrebbe limitarsi semplicemente a giocare la partita invece di allenarsi più volte la settimana. Gli sforzi degli atleti veri, agli occhi di chi non pratica sport, possono sembrare banali e semplici passatempi giornalieri. Dietro all’applicazione e ai sacrifici necessari negli allenamenti, invece, c’è un aspetto educativo e formativo attraverso il quale molti hanno riscattato un passato non sempre felice.

 

STORIE VERE DI RINASCITA

Come Tevez (e altri grandi campioni) che grazie al calcio è riuscito a emergere dai bassifondi e dalla povertà, molti ragazzi nella comunità di San Patrignano attraverso questo sport hanno riscoperto il “piacere” della fatica e apprezzato il senso di unione a cui lo sport di squadra dà origine. Chiamateli pure romanzi o favole del calcio, ma le loro storie non sono racconti da principi azzurri o eroi predestinati. Sono storie vere.  «Sono cresciuto in un quartiere della periferia di Roma – racconta Gianluca, giocatore del San Patrignano – Eravamo in molti a essere appassionati di calcio in quel luogo… “dimenticato dallo Stato”. Da piccoli giocavamo sotto i grandi palazzoni grigi del quartiere, le porte erano semplici lampioni e l’asfalto era l’unico terreno su cui poter correre. I palazzi erano abitati da molte famiglie con difficoltà economiche e sociali. Le attività di spaccio erano il fulcro della vita quotidiana di molti ragazzi che per vivere commettevano reati di microcriminalità. Crescendo in un ambiente di questo tipo, inconsciamente mi sono fatto trasportare dalla realtà negativa in cui vivevo. Mancavano figure di riferimento all’interno e fuori dalla famiglia in grado di guidare un adolescente come me sulla giusta strada, così ho messo da parte la passione per il calcio che riusciva a tenermi lontano dalla malavita. Penso che nelle periferie debbano essere create più aree sportive in aiuto di molti ragazzi che come me, hanno bisogno di punti di riferimento e qualcosa in cui credere.»

I ragazzi della squadra del San Patrignano durante una seduta di allenamento.

AREE ATTREZZATE E FIGURE DI RIFERIMENTO

A volte non bastano impegno e determinazione, né classe o qualità: serve un segnale dall'esterno, una persona in grado di cogliere e valutare, e infine intuire la qualità di un diamante grezzo e decidere di scommetterci, di lavorarci sopra.  «Molti dei ragazzi della “nazionale” di San Patrignano potevano in età adolescenziale raggiungere risultati sportivi certamente più importanti. Per molti di loro invece - spiega mister Marcello Chianese – la strada dello sport è stata deviata da eccessi e stili di vita errati. Questo anche perché sono mancate figure di supporto competenti, capaci di stimolare la voglia al sacrificio e alimentare fiducia in se stessi e negli altri. Componenti che spesso durante l’adolescenza vengono a mancare. Capita che nelle piccole realtà sportive, i ragazzi si sentano lasciati a loro stessi senza guide educative forti, necessarie per la crescita personale all’interno di un gruppo e della società in generale.»  Julian Sorez, ricercatore e storico del calcio, spiega che… «Il pallone può essere strategico nell’affrontare problematiche legate al disagio sociale delle periferie».  Tesi coerente alla mentalità di chi crede fermamente nell’utilizzo dello sport per il recupero, ad esempio dalle dipendenze o dall’emarginazione. Da questa breve storia si evince quanto esso abbia la forza di unire e dare opportunità anche quando proviene dalle realtà minori.

Leggi gli altri post a cura della comunità di San Patrignano

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