CALCIO: I CONSIGLI DI MINO FAVINI
Pazienza, lavoro, fiducia nei nostri giovani e, nei settori giovanili, rispetto dei ruoli. Le indicazioni ad allenatori, genitori e calciatori del più grande talent scout italiano.
Venerdì 15 Luglio 2016 | Gianluca Ciofi
Montolivo, Pazzini, Tacchinardi, Bonaventura (foto di copertina), Morfeo… Ne citiamo solo alcuni e a mero titolo esemplificativo perché l’elenco potrebbe continuare, lunghissimo. Cosa hanno in comune questi talenti del nostro calcio? Un nome e un cognome: Fermo “Mino” Favini, chi li ha scoperti e lanciati in 24 anni di lavoro all’Atalanta, diventata, grazie anche e soprattutto a lui, una fucina di grandi campioni stimata in Italia e in Europa. Ottant’anni compiuti il 2 febbraio, il “maestro”, come molti amano chiamarlo, da un anno circa è tornato a lavorare a Como, club nel quale la sua parabola di dirigente calcistico aveva avuto inizio. Difficile, se non impossibile, trovare voce più autorevole della sua nel panorama dei settori giovanili di calcio italiani e allora, eccola…
In Italia ci si lamenta del fatto che da qualche anno non si sfornano più grandi talenti…
«Non sono d’accordo. Semplicemente abbiamo perso un po’ di fiducia. Abbiamo bravi calciatori che diventeranno col tempo ottimi, se avremo la pazienza di farli crescere. La storia del nostro calcio lo dice: abbiamo qualità, per questo sport, insite nella nostra natura e i nostri settori giovanili stanno lavorando bene. Se mi si chiede un consiglio da dare, allora attingo alla mia indole e al mio modo di vedere il calcio. Io sono un amante della tecnica e credo molto nelle attitudini naturali dei ragazzi. Lavoriamo con serenità e fiducia su di loro e puntiamo sulla tecnica.»
I nostri settori giovanili, professionistici e non, stanno preparando la prossima stagione. Possiamo dare qualche consiglio per lavorare in modo proficuo?
«Volentieri, se posso. Cominciamo dagli allenatori? Bene, a loro dico: i vostri ragazzi devono sentire che godono della vostra fiducia, ne hanno bisogno. Non sottovalutate la loro intelligenza, se non credete in loro se ne accorgono. E, soprattutto, abbiate pazienza, non pretendete subito il risultato, guardate piuttosto alla gradualità della loro crescita. Quello che conta, nell’allenare un giovane, non è dove è arrivato, ma è capire dove può arrivare e aiutarlo a raggiungere quell’obiettivo, col tempo. Inoltre, non giudicate troppo frettolosamente, a volte le caratteristiche fisiche avvantaggiano i prematuri a scapito di coloro che si devono ancora formare e ai quali serve più tempo. Del resto, il ruolo dell’allenatore è questo: aiutare i giocatori nella loro crescita a riuscire a esprimere le loro qualità nel rispetto dei tempi naturali di ognuno di loro.»
Ai giocatori, che con tante speranze affrontano il loro percorso?
«Mi voglio rivolgere soprattutto a chi nasce con la fortuna di avere quel pizzico di talento in più. A loro dico che hanno il dovere più degli altri di lavorare intensamente e con costanza, senza adagiarsi sugli allori, per far emergere e sublimare col tempo le qualità di cui dispongono naturalmente. A tutti dico rispettate i tempi e i programmi che i vostri allenatori vi propongono, lavorate con dedizione e impegno per raggiungere i traguardi che vi vengono di volta in volta fissati, senza abbattervi se capita che qualche cosa vada storto. Oggi molti ragazzi abbandonano precocemente perché si demoralizzano di fronte alle prime difficoltà, non mollate, siate tenaci e credete nella fiducia dei vostri allenatori (che devono infonderla, vedi sopra…)»
Tocca ai dirigenti responsabili…
«A loro dico state molto attenti alle prime selezioni e alle prime scelte. Nella mia personale esperienza tutti i campioni sfornati dall’Atalanta sono diventati tali attraverso un percorso di maturazione costruito nel tempo, ma avevano denotato sin da giovanissimi qualità tecniche importanti. Se si hanno quelle, sulle restanti (fisiche, attitudinali, tattiche e così via) ci si può lavorare. E anche qui vi rimando a quanto detto sopra: sul talento bisogna lavorarci, e tanto, altrimenti il rischio è che rimanga inespresso.»
E infine i genitori…
«Il cerchio si chiude e si ritorna al concetto di fiducia. Mamme e papà devono fidarsi del lavoro dei responsabili e degli allenatori, la stessa stima che questi ultimi devono far sentire ai ragazzi. Ai genitori mi preme dire anche un’altra cosa: non soffocate i vostri figli con le aspettative che avete su di loro. Il voler accelerare le cose, consciamente o inconsciamente, è negativo e dannoso. Un calciatore deve crescere nei tempi corretti e naturali che gli spettano di diritto e, se giovane, non deve essere influenzato dall’esterno, a maggior ragione nella fase di crescita e maturazione, un periodo importantissimo e delicato.»