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ALLENARE NOSTRO FIGLIO: IL VOSTRO PARERE

Accade più spesso di quanto si pensi ed è un tema molto sentito, ecco le vostre opinioni sul web raccolte e commentate.

Il tema dell’opportunità o meno di essere non solo genitore ma allenatore dei propri figli proposto nel post precedente ha stimolato numerosi appassionati commenti. Si tratta di una situazione più frequente di quanto non si creda nello sport amatoriale. Una dinamica che tocca molte persone, direttamente o indirettamente, e del quale è difficile parlare in quanto “argomento sensibile”.

Va subito detto che la larga maggioranza non è favorevole, un avversione non di principio ma basata dall’esperienza vissuta, sull’uno o sull’altro fronte, e dalla consapevolezza della estrema difficoltà di mantenere un equilibrio tra i due ruoli. «Ho fatto questa esperienza da giocatore – confessa Gianluca Foglia - e non vi nascondo che avvolte ''confondevo'' un po’ il padre con il mister e viceversa. Adesso che alleno preferirei non accadesse».  Molti sottolineano che esiste il rischio che il genitore non tenga in debito conto delle esigenze e di come la vive il ragazzo, come evidenzia Giorgio Salvetti: «Tutti i genitori/allenatori dicono che è stato bello ma secondo me lo fanno non analizzando la situazione dal lato del giocatore. Il figlio non vive la naturalezza dello spogliatoio e del gruppo, esempio le piccole stupidaggini che commettono in assenza dei genitori, perché ha sempre il papà vicino». Ancora più drastico Guidaus Quidam che afferma «credo che qualsiasi ragazzo preferirebbe non essere allenato dal proprio babbo».

 

L’OPINIONE DI CHI L’HA VISSUTO SULLA SUA PELLE

Molti interventi critici vengono da chi questa situazione l’ha direttamente vissuta. David Odorico, lo fa da tre anni ed è chiaro al proposito «Ogni opinione va rispettata, ma effettivamente si diventa più sensibili, tuo figlio si confonde con gli altri bambini e te ne accorgi solo quando lo devi portare a casa».  Si tratta di una esperienza che lascia il segno e non è sempre positiva, come ammette Carlo Biagini: «L’ho fatto ma non lo farei mai più. Anche perché per essere più imparziale possibile lo riprendevo anche quando non c’era bisogno». Gli fa eco Michele Casimiro: «È successo a me per quattro anni, tra pulcini e giovanissimi: sul campo nessuna differenza con gli altri... ma a ben pensarci, senza volerlo, l'ho trattato addirittura peggio».

I favorevoli ammettono che quando tutto fila liscio, si tratta di casi eccezionali e a tempo limitato. «Quest'anno finirò di allenare mio figlio dopo un anno e mezzo: è stata una esperienza bellissima, credo che ora sia giusto che vada per la sua strada – confida Alberto Sottocasa - lo rifarei, ma credo non esista una regola fissa, dipende da noi, dal nostro comportamento, dal carattere del ragazzo; in questo caso è andata bene … ho un altro bambino dal carattere completamente diverso e ho dei dubbi che potrebbero ripetersi gli stessi risultati».

Per Rosario Mancusi «è difficile e non è da tutti poterlo fare... padre e ragazzo sono costretti a rendere tutti e due di più. Ci vuole tanta professionalità, gestione del gruppo, personalità e obiettività da parte del padre. Umiltà, razionalità, dedizione, spirito di sacrificio e tanta volontà da parte del figlio». A fronte di questi e altri simili interventi si può ritenere, come dice Silvano Berlini, che «per la maggior parte, le situazioni non sono cosi» e quando qualcuno ci riesce si tratta di una mosca bianca.

 

IL CONFLITTO DI INTERESSI EMOTIVO

Emerge uno dei punti più delicati che il doppio ruolo genitore-allenatore produce, ovvero il conflitto di interessi emotivo. Checché se ne dica riuscire tenere nella giusta considerazione entrambi i ruoli ha la stessa probabilità che una moneta cada restando in piedi sul suo bordo. «Io l’ho fatto col mio bambino – afferma Cosimo Gatto -  Una esperienza bellissima, solo che alcune volte lo sgridavo un po’ di più. Per non farmi dire qualcosa da altri genitori eccedevo nel rimprovero». «Alleno da 13 anni (non ho figli) e ho visto molti genitori allenare - ribadisce Giorgio Salvetti - Secondo me non sono obiettivi: sono o troppo severi o troppo buoni».

Il fatto è che non si possono servire due padroni, la passione sportiva e la responsabilità genitoriale, dal momento che entrambi pretendono la precedenza, sgomitano e competono l’uno contro l’altro.  «Ricordiamoci – sottolinea Giorgio Maffeis - che il padre allenatore non si accorge se sta facendo differenze o no. Parlo per esperienze passate, come giocatore prima e come allenatore poi…». Il ruolo di genitore è certamente compatibile con quello di mister, ma quando si sovrappongono il rischio che entrino in conflitto è elevatissimo, anche perché dovrebbero avere prospettive diverse. L’allenatore ha come obiettivo migliorare la performance agonistica dei singoli e della squadra, il genitore cerca di accompagnare la crescita e la realizzazione personale del figlio. Inoltre l’allenatore sprona i suoi atleti a superare i loro limiti, e per questo non esita a esporli a rischi (sportivi), il genitore è interessato a salvaguardare il proprio ragazzo, sia da se stesso che dagli altri. Non si può nemmeno dire che i due ruoli si equivalgono per importanza e responsabilità: con tutto il rispetto per i mister essere un buon genitore è molto più importante che essere un bravo tecnico.

Quando papà è anche il mister il rapporto fra adulto e bambino o bambina può complicarsi

A volte sono i ragazzi i più consapevoli del conflitto di interessi emotivo dei padri, fatto che ovviamente ha conseguenze anche su di loro. «Non va bene, soprattutto per il ragazzo è imbarazzante - sostiene con forza Giovanni Gelo -  qualsiasi scelta potrebbe essere interpretata male e comunque sarebbe condizionata ... e parla uno che lo ha fatto per due anni».

In qualche caso i figli stessi a tolgono il genitore dall’imbarazzo. «A me succederà la prossima stagione, lo avrò in squadra – racconta Michele Frasca - ma prima ho chiesto a lui (14 anni) se fosse d'accordo. Di primo acchito ha risposto di no poi dopo una settimana mi ha detto: papà so che per te è stimolante essere allenatore e può farmi crescere, accetto la scommessa».

 

CI FACCIAMO CHIAMARE MISTER O PAPÀ?

Qualcuno prova a separare i ruoli di allenatore e genitore, pur rivestendoli entrambi, come se fossero modi di essere da cui si può entrare e uscire a piacere con un semplice atto di volontà.  Significativa, al riguardo, la scelta su come venire chiamati: “Io – racconta Armando Menabò -  alleno mio figlio da tre anni, nei Pulcini, e riesco a considerarlo esattamente uguale agli altri. Questo grazie anche a lui che mi considera solo il suo mister e mi chiama così».  Tommy Pascia Belvedere, ritiene di non aver avuto grosse difficoltà e ci tiene a precisare: «in campo mi chiama mister, per me è uguale agli altri e lui lo sa benissimo. Devo dire che i genitori mi fanno i complimenti per questo». Ma questo “divorzio”, benché lo si ritenga consensuale, non è possibile, è illusorio: quando diventi genitore lo rimani per sempre, e così pure sul lato figlio, ovviamente. Non si può entrare in un ruolo e lasciare l’altro, in entrambi i casi ti rimane “la colla sulle dita”. Essere bravi genitori è difficile: forse allora allenare il figlio diventa, in certi casi, una sorta di “protesi” per chi teme di non essere padre abbastanza credibile o autorevole. A complicare ulteriormente le cose ci sono le aspettative del ragazzo o della ragazza: quelle nei riguardi del genitore e quelle verso l’allenatore che si mescolano e confondono.

 

I NOSTRI ATLETI SONO I FIGLI DEGLI ALTRI

Alcuni sostengono che sia una questione da correlare all’età. In realtà proprio le età “estreme”, quella tra i 5 e gli 8 anni e quelle oltre i 12 anni sono quelle più a rischio: nel primo caso il bambino reagisce al papà e nel secondo “soffre” l’allenatore. L’età relativamente meno rischiosa è quella tra i 9 e i 12, ovvero gli anni di transizione tra l’infanzia e l’adolescenza, quando il ragazzo è più sereno emotivamente e nel contempo capace di “sopravvivere” a entrambi i ruoli. In definitiva: essere allenatore può migliorare l’essere genitore? Si, allenando i figli degli altri. Come può un bravo genitore esprimere il meglio di sé per allenare?  Semplice: allenando i figli degli altri.

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