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IL PRECAMPIONATO DI DEVIS MANGIA

Nel periodo di preparazione si pongono le basi per la costruzione della squadra, i principi di lavoro e i consigli dell’ex tecnico della nazionale U21 per avviare al meglio la stagione.

Chi ben comincia è a metà dell’opera, allenatori e calciatori sono consapevoli che lavorare con efficacia nel più o meno lungo periodo che separa l’inizio dell’attività in estate al primo impegno ufficiale in campo riveste cruciale importanza. Ne abbiamo parlato con Devis Mangia, tecnico già della nazionale under 21 italiana e, tra le altre, di Palermo, Spezia e Bari.

«Il periodo di preparazione precampionato – entra nel merito il tecnico milanese - è il momento nel quale si costruisce la squadra, pertanto, al di là degli aspetti meramente tecnici o tattici l’allenatore deve avere le idee ben chiare circa gli obiettivi che vuole perseguire. Mi chiedete quali sono? Ognuno deve avere ben presente i suoi, da che punto parte la sua squadra e dove vuole arrivare. Noi allenatori dobbiamo trasferire al gruppo sicurezze, se le cose non sono chiare per noi non lo saranno per nessuno. Fissati punto di partenza e di arrivo possiamo cominciare a lavorare, per step, un passo alla volta e un risultato alla volta andare nella direzione che si è deciso di intraprendere. Il mister, lo ribadisco perché è fondamentale, deve sin dall’inizio e continuamente in corso d’opera chiedersi dov’è, a che punto è, e darsi sempre una risposta. Perché ciò accada è meglio lavorare su poche cose ma fatte bene. Se siete graduali e vi accorgete che qualche proposta o qualche concetto non è stato compreso o assimilato tornate indietro finché non lo sarà, poi ricominciate ad andare avanti. Saprete sempre dove siete e a cosa potete puntare concretamente. Le partite, per esempio sono dei momenti di verifica del lavoro svolto, quindi cercate di programmarle in perfetta sintonia con il vostro cammino e gli obiettivi ricercati lungo il percorso. Per semplificare se ho da poco affrontato temi riguardanti la fase di non possesso sarà opportuno fare una partita contro una squadra che ci è superiore e che ci mette in difficoltà. Per il resto, se parliamo di amichevoli, in precampionato andrebbero organizzate per difficoltà crescente e in funzione dei carichi di lavoro atletici svolti.»

 

Meglio cominciare dalla fase di possesso o da quella di non possesso?

«Preferisco non dare consigli, ogni allenatore deve lavorare secondo le sue convinzioni, assecondarle e perseguirle. Vi posso dire che io lavoro “in parallelo”, una seduta (e mezza) a una fase poi altrettanto dedicata all’altra e utilizzo esercitazioni che prevedano transizioni (in figura 1 un esempio) per monitorare i progressi sui principi sui quali ci siamo soffermati. Inizio dalla fase offensiva, anche per un sottile discorso psicologico, è un messaggio positivo per la squadra, e lavoro per concetti non per schemi».

Un'esercitazione utile per verificare come si comporta la propria squadra nel passaggio da una transizione all'altra. Clicca sull'immagine per aprire la scheda completa dell'esercitazione.

Domanda fatidica: quanto a secco e quanto con la palla?

«Beh, in preparazione il lavoro a secco è fondamentale, io comunque se posso lavoro il più possibile con la palla. Facciamo una distinzione di massima, se ho la possibilità di ricorrere all’utilizzo di strumenti tecnologici come i cardiofrequenzimetri o i Gps posso monitorare con precisione i carichi interni ed esterni anche lavorando col pallone. Certo dal punto di vista condizionale i risultati di una esercitazione in situazione sono meno certi. I giocatori non producono tutti lo stesso identico sforzo. Quindi se, dati alla mano, non ho centrato l’obiettivo andrò a compensare col lavoro a secco. Per la valutazione del carico interno, personalmente, prediligo le scale come quelle di Borg, per fare un esempio, e col preparatore valutiamo il training load (il carico di lavoro n.d.r.) che ci fornisce eventuali indicazioni o campanelli d’allarme da tenere immediatamente in considerazione. Chi, invece, non ha molte possibilità di aiuti “esterni” non si abbatta. Innanzitutto un allenatore, anche a basso livello, deve avere un minimo di preparazione, una base, per ciò che riguarda il lavoro atletico. Comunque esistono, al giorno d’oggi, delle esercitazioni codificate che possono dare una grande mano anche ai meno esperti, gli Small Sided Games ne sono un esempio. Io ho iniziato la mia carriera fra i dilettanti e vi garantisco che si può lavorare efficacemente anche con solo dieci casacche, venti palloni e quaranta cinesini. L’importante è, e torniamo al discorso iniziale: non vi inventate niente, abbiate ben presente sempre dove siete, dove volete arrivare e la valenza delle proposte che fate svolgere sul campo. Ci sono esercitazioni, per capirci, che vanno bene per un giocatore da Champions League ma non per un calciatore di Prima Categoria. La vera differenza fra un allenatore bravo e uno meno, alla fine, la fa la sensibilità nel saper cogliere tutti gli aspetti, da quelli fisici a quelli tattici, della propria squadra e non pensare di lavorare a compartimenti stagni, integrare quindi il proprio lavoro con quelli di tutti i collaboratori a disposizione».

(fine prima parte, clicca qui per leggere la seconda parte)

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