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HO LA FEBBRE: GIOCO?

La decisione dipende dalla sensazione del calciatore e dall’importanza della partita. In ogni caso, è meglio non far scendere in campo un giocatore che supera i 37.5 gradi.

La febbre è un sintomo generico che si associa a una grande quantità di malattie. E in ogni caso l’esercizio fisico non va bene perché impiega l’energia che l’organismo dovrebbe dedicare alla guarigione. Oltre a questo si rischiano complicazioni, passando magari dal raffreddore all’otite. È quindi scorretto pensare di allenarsi, si va invece dal medico, si identifica il problema, si stila il piano terapeutico e ci si riposa.

 

QUALE TEMPERATURA?

Se il giocatore, ad esempio, ha i classici sintomi influenzali e supera i 37 gradi è bene che non svolga attività fisica. Nel bambino, però, è meglio misurare la temperatura interna, tenendo conto che il 37.8 in bocca equivale a un 37,2 ascellare, che è il valore da considerare. Dopo l’allenamento si potrebbe avere un rialzo termico dettato dall’esercizio fisico e quindi è bene verificare la temperatura la mattina successiva per capire se si tratta di febbre. Tra uomo e donna non ci sono differenze tranne che nel periodo dell’ovulazione, quando le calciatrici possono avere un lieve rialzo della temperatura che non comporta però la comparsa della febbre. In ogni caso, è bene ricordare che lo stato febbrile è un sintomo che accompagna malattie che vanno dal raffreddore alla leucemia e, quindi, la cura cambia di conseguenza. Oltre a questo è bene tener conto del fatto che la percezione della temperatura interna cambia da soggetto a soggetto, anche in base alla capacità del corpo di controllarla. E quindi è soggettiva.

Nei bambini è meglio misurare la temperatura interna.

E IN PARTITA?

Se si tratta di una febbricola (indicativamente fino a 37,5) e la partita è importante, si assume del paracetamolo e si può scendere in campo. La scelta dell’allenatore, però, deve essere dettata dalle sensazioni del giocatore. Come ho spiegato, infatti, la reazione a un lieve rialzo di temperatura varia da soggetto a soggetto, e quindi in alcuni casi non ha senso far scendere in campo chi avverte maggiormente la febbre. Oltre a questo, il calciatore deve essere conscio del possibile peggioramento del suo stato di salute. E questo è un aspetto di cui tener conto fra i dilettanti, soprattutto perché il giorno dopo si potrebbe dover andare al lavoro. In ogni caso, l’indomani è bene farsi visitare per individuare la causa dello stato febbrile.

Sopra i 38 gradi, invece, il giocatore va mandato a casa e, tanto più, indirizzato dal medico per una diagnosi precisa. Io ho fatto scendere in campo calciatori con lieve febbre e l’ultima volta l’elemento in questione ha anche segnato. Un giocatore in Premiere League, invece, anni fa ha giocato con 39 di febbre e si è lussato un ginocchio, il mio dubbio è: se non avesse avuto la febbre sarebbe successo? Quindi, prima di schierare il calciatore, il mister deve considerare questi aspetti:

  • rischio di doverlo cambiare presto;
  • metto a repentaglio la sua salute perché aumenta la probabilità che si infortuni;
  • sotto i 16 anni non esistono partite così importanti da far scendere in campo il giocatore… mai.

 

COME MI CURO?

In base alla diagnosi del medico, sempre! Perché ricordiamo che si tratta di un sintomo legato a troppe cause e quindi è bene approfondire. Oltre a questo, in alcuni casi la febbre può causare inappetenza. L’importante, però, è bere. L’ideale sono le bevande da sport, fresche e leggermente diluite, perché sono più facili da assorbire e danno energia. Ovviamente va bene anche l’acqua, un ghiacciolo, delle spremute o dei succhi di frutta.

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