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NON STUDI? NIENTE CALCIO!

Pensate che sia la migliore strategia? Alcune riflessioni e una valida alternativa per coniugare libri e pallone..

«Vai male a scuola? Non ti mando più a giocare a pallone!» Spesso mamma e papà ricorrono a questa strategia pensando che sia la più incisiva per stimolare il figlio a impegnarsi maggiormente negli studi. Poi capita che mi chiedano, sia loro sia i mister, se è giusto e tantomeno efficace "colpire" il bambino utilizzando questa strategia.

 

IL RUOLO DELLA PUNIZIONE

Punire in sé, se fatto nel modo adeguato, nel rispetto del bambino e della sua dignità, ha un immenso valore educativo. Tuttavia far saltare gli allenamenti e le partite, secondo la mia esperienza, è una pratica che ha controindicazioni da tenere in grande considerazione. Limitando l'attività sportiva non si fa altro che favorire l'accumularsi di tensione nel piccolo, una tensione che la pratica del calcio mitiga in modo funzionale. Il bambino, così come il preadolescente, è fatto di impulsi, vulnerabili alla mancanza di controllo, e le sue emozioni sono come lava che preme per eruttare... Sono lì, sotto pelle, a volte dormienti, altre si scatenano improvvisamente manifestandosi senza controllo. L'attività sportiva è utile anche per canalizzare questa valanga di energia, evitando che sfoci in modo inadeguato.

La punizione serve, quindi, per arginare il fiume in piena. Pensate quanto sia importante insegnare ai bambini che esistono limiti da non oltrepassare! Far comprendere loro che in alcune circostanze eseguire un compito all'interno di una serie di regole prestabilite consente alla propria vivacità di non mitigarsi e perdersi in un eruzione senza senso. Studiare rappresenta quindi la possibilità di canalizzare in un'attività proficua una bella parte dell'energia vitale di cui il bambino dispone. E quindi è giusto "punire" il bambino che disperde tale potenzialità in modo non proficuo.

 

ALLENAMENTO SÌ PARTITA NO

Punire e bloccare lo sfogo di queste pulsioni attraverso un'attività che serve anche per scaricare la tensione e canalizzarla in modo corretto, potrebbe provocare nel giovane calciatore reazioni difficili da gestire. Tra queste è possibile un aumento della sua vivacità o un maggior disinteresse per la scuola perché, per reazione, le pulsioni represse possono sfociare in opposizione verso i genitori, anche attraverso l'atto di studiare ancor meno... Sono tutti esempi ipotizzabili. Ogni caso poi fa storia a sé.

Per questo punire il bambino non facendolo giocare a calcio è una soluzione che personalmente scoraggio. Piuttosto propongo un'altra strategia, soprattutto per i più grandicelli: farli allenare, ma chiedere al mister di non convocarli in partita con l'obbligo di andare a vedere la gara disputata dalla loro squadra. In questo modo, non spegniamo l'interruttore che permette loro di sfogarsi, di correre, di perseguire un impegno come l'allenamento. E la punizione diventa la mancata convocazione.

FATE LA PACE

In ogni caso, al di là di tutto, l’aspetto importante è che dopo un po' con i propri figli si "faccia pace". Ai bambini fa male sentire che l'arrabbiatura dei genitori dura troppo. Bisogna essere fermi nel "punire" e nel perdonare. Questo perché ciò che fa bene al bambino è sentirsi dire: "Hai sbagliato e mi hai fatto arrabbiare per quello che hai fatto, ma questo non significa che ti detesto. Punisco ciò che hai fatto di sbagliato, non ciò che sei".

 

LA STORIA DI FRANCESCO

Concludo citando l'esperienza di un mio caro amico, Francesco Leone, allenatore giovanissimi B 2001 dell'Aullese Calcio di Aulla (Massa Carrara), che secondo me evidenzia in modo incisivo quanto sia fondamentale, nell'esortare un figlio allo studio, la sensibilità dei genitori: "Io non sono genitore, ma sono figlio e ricordo bene che, per farmi studiare, bastava la minaccia dei miei genitori di non mandarmi al campo. Perché mi toglievano la cosa che amavo maggiormente. Giusto o sbagliato non saprei, quello che so è che se mi avessero tolto il calcio mi sarei fatto bocciare per dispetto. Alle superiori i professori non volevano farmi uscire prima per partecipare alle partite e così gli dissi che avrei smesso di andare a scuola. I miei genitori poi convinsero i professori, non per accontentarmi, sia chiaro, ma perché sapevano che non potevano farci niente. Amavo giocare e non mi piaceva studiare... tutto li. Oggi lavoro e non sono mai stato disoccupato, leggo libri di calcio perché mi piace, alleno e come tutti gli istruttori sono consapevole che lo studio viene prima di tutto. Però penso anche che se una cosa ti piace la fai bene, altrimenti bisogna accontentarsi. Non tutti diventeranno studiosi e laureati, ma chiunque si può realizzare se trova la sua vocazione. P.S.: solo con la minaccia non mi hanno mai bocciato e mi sono diplomato con 74/100. Il che mi ha permesso di partecipare e vincere il concorso che oggi mi garantisce un lavoro e uno stipendio decoroso. Fortunato sì, ma ad avere genitori che sapevano come prendermi e cosa pretendere."

 

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