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Renzo Ulivieri: Io e le ragazze

Il presidente degli allenatori italiani siede sulla panchina della Scalese calcio femminile. Impensabile fino a qualche anno fa, è un piccolo grande segnale che qualcosa sta cambiando. Però secondo Ulivieri: “L'Italia è ancora vittima di una mentalità retrograda”.

Non ha mai nascosto il suo disaccordo riguardo alcune improvvide uscite mediatiche del palazzo sul calcio in rosa italiano. Toscano e sanguigno qual è non è certo uno che le manda a dire ma, stavolta, ha fatto di più. Renzo Ulivieri ha scelto di schierarsi apertamente dalla parte delle calciatrici, mettendo sé stesso, il suo carisma e la sua esperienza in panchina con loro. Una scelta forte, avrebbe potuto allenare praticamente ovunque, stipendiato, ha deciso di farlo gratuitamente, in una società (La Scalese di San Miniato, serie B) di ragazze e neanche di primo piano. Eccolo, con le sue impressioni, dopo i primi sei mesi di immersione in questa nuova realtà.

 

Mister, primo periodo importante di lavoro con la Scalese, come ha trovato il calcio femminile?

Devo dire che c’è una buona qualità, in generale. Allenare un gruppo di ragazze rappresenta un impegno particolare, intendiamoci, ho trovato delle differenze, da un punto di vista tecnico ad esempio, ma ho anche constatato, osservando dall’interno questa realtà, che nell’ambiente ci sono colleghi molto bravi e, ci tengo a sottolinearlo, colleghe veramente preparate. Tutti sono mossi da tanta passione; hanno voglia di fare di imparare di crescere. Per questo, a maggior ragione, stiamo pensando iniziative che vadano incontro a questa domanda di crescita del movimento da un lato e di crescita da un punto di vista meramente sportivo dall’altro. Nel panorama italiano, c’è abbastanza dislivello fra la serie A e la serie B, forse troppo. In prima serie, tra l’altro, ancora assistiamo a partite che finiscono sette otto a zero, capite che non c’è equilibrio, non ha molto senso e il movimento stesso ne risente in termini d’immagine. Una prima idea, al vaglio, è quella di ridurre il numero dei club partecipanti alla serie A; per innalzarne il livello qualitativo. 

Quali sono le sue considerazioni passando alla guida di un gruppo di ragazze dopo un’intera carriera in campo maschile? Cosa ci si deve aspettare?

So che molti tecnici non sono interessati perché non è un’attività remunerativa, ed è vero, in pratica lo si fa a puro titolo di volontariato, del resto siamo nell’ambito dei dilettanti. Però è un’esperienza bella, divertente ed entusiasmante per molti aspetti. Le prime volte si rimane un po’ spiazzati dal livello tecnico però vi garantisco che… “chi ha passione per chi è appassionato” ne può rimanere entusiasta. Le ragazze hanno voglia di crescere e migliorare, lavorano sodo, s’impegnano e questo è gratificante per un tecnico che ama lavorare con chi ha voglia di apprendere. Per quanto ci riguarda, alla Scalese, abbiamo in progetto di costruire un piccolo settore giovanile da far crescere. La domanda c’è ed è tanta, so di una realtà, a Bologna, che in poco tempo ha raccolto 120 iscritte. Il mio consiglio, l’auspicio, è che coloro che vogliono e possono siano incentivate a iscriversi, con i maschietti all’inizio visto che fino ai quattordici anni possono giocare assieme; spero, mi auguro, si possa fare qualcosa per entrare ancor più col calcio nelle scuole; questa è una via che dovremo cercare di percorrere il prima possibile.

 

Qualche consiglio? Lei ha guidato tanti grandi campioni, come si gestisce un gruppo di calciatrici?

Approcciatele con delicatezza, la stessa che s’ha con i bambini a scuola. Non pensate che si debba fare chissà che cosa. Un allenatore per fare il suo lavoro può usare due strade, quella di parlare o quella di urlare; io consiglio la prima delle due. Per riallacciarmi al concetto dei bambini voi pensate d’essere un’insegnante; nella vostra classe avrete ragazzi e ragazze, giusto? Cambiate forse il modo di comportarvi a seconda vi rivolgiate agli uni o alle altre? Non credo…

 

Ha visto il Brescia in coppa campioni? Rispetto a molte realtà estere facciamo fatica….

Beh si è vero, quando posso seguo e m’informo. Sono andato a vedere Italia- Olanda di recente (1 a 2 qualificazioni alla fase finale dei mondiali Canada 2015, n.d.r.) e in effetti c’è differenza fra noi e i movimenti femminili di tante altre nazioni. Ho visto le olandesi più avanti, in modo lampante, ma il divario non è abissale, non si è trattato di un dominio. Dobbiamo quindi lavorare e investire per colmare questo gap, e si può fare, non è un’utopia. Il fatto è che in altre nazioni ci hanno creduto prima e ci hanno creduto di più, investendo a tempo debito: il risultato è che noi siamo indietro. Le ragazze che giocano a calcio le troviamo anche in Palestina per capirci, seguite da dirigenti, donne e uomini, molto competenti. Purtroppo noi siamo vittime di una mentalità retrograda che resiste solamente da noi. L’Aiac e l’associazione calciatori stanno impegnando energie per cercare di dar vita a progetti che spingano il movimento e stimolino investimenti. Purtroppo le risorse a disposizione sono quelle che sono e, tra l’altro, alla luce dei recenti tagli imposti dal Coni (sui cui criteri non sono convinto) ne sono venute a mancare di potenzialmente esistenti.

Gli allenatori italiani che momento vivono? Ci sono novità? Siamo preparati a sufficienza?

Come immagino saprete siamo partiti con lo sviluppo di tutte le attività dedicate alla preparazione specifica dei portieri. Stanno iniziando adesso i corsi appositi, un progetto molto importante sul quale stiamo lavorando, e tutt’ora lo stiamo facendo, da tre o quattro anni. Sappiamo, altresì, che per ciò che riguarda i corsi che formano gli allenatori si potrebbe fare meglio dal punto di vista organizzativo. Ci stiamo quindi confrontando per migliorare quest’aspetto e, laddove possibile, allungare la durata dei corsi. I contenuti e i docenti, comunque, sono di prima qualità. L’allenatore italiano in realtà è preparatissimo; per esempio dal punto di vista tattico è uno dei migliori in circolazione. Certo è doveroso si aggiorni, il calcio è in continua evoluzione, il confronto e lo studio occorrono per non restare fermi e stare al passo con i tempi. Non esageriamo però. Non è il caso, come tendiamo a fare talvolta, di seguire le mode esterofile prendendole come oro colato, quasi fosse tutto sbagliato quello che si fa e s’è fatto da noi. L’Italia ha vinto quattro titoli mondiali, non dimentichiamolo; il nostro calcio ha la sua storia, le sue competenze e le sue qualità. Un patrimonio di conoscenze che va, al massimo, coltivato, migliorato e fatto maturare; noi siamo noi e siamo bravi non dimentichiamocelo.

 

Come è cambiato il calcio, i calciatori da quando ha iniziato lei ad allenare quarant’anni fa?

Sono cambiate tante, tantissime cose. I calciatori di oggi, sotto il profilo umano e caratteriale, sono figli di una società diversa da quella dei nostri padri, nella quale siamo cresciuti noi. Sono cambiate le regole del gioco, la tecnica e la velocità di gioco. Oggi si parla di tecnica in velocità, è un calcio diverso per forza di cose e dobbiamo capirlo, adeguandoci senza snaturarlo, intervenendo e correggendo, secondo me, solo se ci si accorge di percorrere strade sbagliate, dannose. I giovani di oggi, i calciatori, sono diversi, evoluti; quello che però manca loro è paradossalmente proprio il gioco. Si gioca troppo poco, i ragazzi e le ragazze toccano il pallone molto meno, rispetto a prima, e quindi diventare abili nelle poche ore nelle quali si fa pratica è veramente difficile. Ed è ancor più complesso sviluppare la tecnica in velocità che il calcio di oggi richiede. Penso nuovamente allo sport praticato nelle scuole, non solo per avvicinare al calcio le bambine, ma anche per aumentare i tempi di gioco dei piccoli sarebbe utilissimo. In questo momento abbiamo troppa poca “autonomia di volo”; l’obiettivo consiste nell’incrementare la quantità di tempo da dedicare al gioco, ovunque sia possibile.

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