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LE FRATTURE DA STRESS NEL CALCIATORE

Scopriamo questa tipologia d’infortunio, dovuta all’infittirsi del calendario agonistico e all’elevata intensità di allenamento, che colpisce soprattutto giovani e donne.

Già ai tempi dell’Antica Grecia, Aristotele definiva i “vincitori olimpici” come coloro in grado di non sperperare le proprie energie né troppo precocemente né nell’eccessivo allenamento, ritenendo il sovrallenamento dannoso per l’atleta. Sulla base di questo principio, possiamo definire le fratture da stress o da fatica proprio come la conseguenza di ripetuti microtraumi – localizzati su una specifica area dell’osso e in grado di alterarne la struttura fino alla rottura - dovuti nella gran parte dei casi a un’anomala attività muscolare o a carichi superiori alla norma (“overuse”) applicati su un osso altrimenti sano. Tra gli infortuni che possono presentarsi in un calciatore è sicuramente uno dei meno facili da riconoscere a causa della sua lenta insorgenza e dei sintomi di presentazione poco specifici. Un tipo di infortunio piuttosto grave, però, perché costringe chi ne è vittima a un lungo stop, di almeno 4 - 6 settimane, seguito dal tempo necessario per il graduale rientro in campo. Basti ricordare i casi di David Villa, ex bomber del Barcellona, che ha riportato una frattura da stress della tibia durante la semifinale del Mondiale per Club del 2011. Parziali o complete, questo tipo di fratture possono comunque manifestarsi in qualsiasi soggetto fisicamente attivo e interessare diversi segmenti ossei.

Stephan El Shaarawy, quando era al Milan vittima di una frattura da stress

TASSO DI INCIDENZA: EVIDENZE CONTRASTANTI

Un tempo comuni nelle reclute militari, costrette a marce forzate, le fratture da stress oggi colpiscono soprattutto gli sportivi, in cui rappresentano circa il 10% di tutti gli infortuni. La tibia è l’osso maggiormente coinvolto (49,1%), seguito da ossa tarsali (25.3%), metatarsali (8.8%), dal femore (7.2%), dal perone (6.6%), dal bacino (1.6%) e dalla colonna vertebrale (0.6%). In particolare nel calcio, secondo alcuni studi, la sede più colpita è la parte inferiore della tibia, secondo altri sono invece le ossa metatarsali. Anche considerando l’incidenza della patologia, gli studi indicano risultati differenti. Ad esempio, una recente ricerca svedese – effettuata su 2379 calciatori professionisti – ha evidenziato un tasso di incidenza basso, circa 1 infortunio ogni 3 anni per squadra. In contrapposizione, uno studio sui mondiali di calcio del 1994 in U.S.A., indica addirittura 9 casi di fratture da stress avvenuti nella squadra nazionale statunitense durante la competizione. La maggior parte degli studi sembra comunque concorde nell’affermare che i soggetti giovani e di sesso femminile ne siano più colpiti.

 

IL MECCANISMO DI BASE DELLA LESIONE

Secondo quanto descritto da Wolff alla fine dell’ottocento, l’osso è un tessuto dinamico, architettato allo scopo di adattarsi alle diverse forze meccaniche cui viene sottoposto mediante un processo di rimodellamento continuo. Le fratture da stress nei soggetti sani si verificherebbero quando l’adattamento dell’osso non è abbastanza veloce da contrastare i ripetuti stimoli cui viene sottoposto. Alla base dell’instaurarsi di queste fratture o di una loro recidiva, sembrano concorrere, con una complessa interazione, sia fattori estrinseci (il tipo di allenamento fisico, l’equipaggiamento e i fattori ambientali) sia fattori intrinseci (ormonali, biomeccanici e nutrizionali).

 

CHI È PIÙ A RISCHIO?

La differenza riscontrata in atleti di sesso diverso potrebbe essere dovuta proprio ad alcuni di questi fattori, come la dieta, il ciclo mestruale e la densità minerale ossea. I disturbi mestruali (amenorrea) e la bassa densità minerale ossea sono fattori che predispongono le calciatrici alle fratture da fatica, mentre non sembra che l’uso di contraccettivi orali possa ridurre questo rischio. Alcuni studi hanno inoltre delineato una stretta associazione tra l’incidenza delle fratture da stress e un diminuito apporto calorico, così come una storia clinica di disturbi dell’alimentazione. Tra i fattori di rischio biomeccanici troviamo la differenza di lunghezza (dismetria) degli arti inferiori o alcuni difetti morfologici quali varismo/valgismo di ginocchio o piede piatto/cavo. Modificare l’abituale programma di allenamento è un altro fattore che pesa notevolmente sulla possibilità di sviluppare o meno una frattura da stress. Quanto all’equipaggiamento, scarpe o solette appropriate, essendo interposte tra l’arto e il terreno, potrebbero funzionare da filtro attenuando l’impatto. Stesso discorso vale per i fattori di rischio ambientali quali la superficie di gioco: correre su un terreno sconnesso accentua i difetti biomeccanici, se presenti, aumenta la forza di impatto e di conseguenza il carico sull’osso.

Il prossimo mese approfondiremo l’argomento cercando di capire quali segni e sintomi possono farci sospettare una frattura da stress, come poterne guarire e soprattutto come fare prevenzione.

Con la collaborazione del dottor Cristiano Sconza

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