LE REGOLE PER ASSISTERE ALL'ALLENAMENTO
Assistiamo al lavoro dei tecnici e dei nostri figli con rispetto. Niente commenti a voce alta, se non per apprezzare i progressi dei ragazzi, e manie di protagonismo.
Martedì 14 Aprile 2015 | Roberto Mauri
Lo sappiamo, e ormai non ci facciamo più caso, la tendenza odierna è spettacolarizzare lo sport in ogni suo aspetto, dal mirabile gesto tecnico al più banale movimento in campo. Tutti devono sapere ed essere dappertutto così da alimentare il “mito” della condivisione sportiva totale. Tutto, per conseguenza, deve essere percepibile e visibile da tutti, più che sportivi appassionati stiamo diventando dei guardoni e dei “sentoni”. Questa smania di protagonismo e presenzialismo nel vivere lo sport si riflette inevitabilmente, fatte le debite proporzioni, anche sulle realtà calcistiche minori e, a cascata, sui genitori, dirigenti e allenatori che vi sono coinvolti. Ciò finisce per influenzare il delicato equilibrio che ogni squadra deve gestire tra il versante pubblico nel quale si espone al giudizio degli altri, e il versante privato, dal quale gli esterni dovrebbero essere esclusi. Un indicatore di questo fenomeno è la presenza sempre più frequente dei genitori non solo alla partita ma anche agli allenamenti dei loro figli.
LA PRIVACY DELLA SQUADRA
Di per sé l’allenamento, come e ancor di più accade per lo spogliatoio, dovrebbe appartenere alla “sfera privata” di una squadra. È un momento in cui sono messe a nudo difficoltà e punti da rinforzare, vengono alla luce gli errori commessi, si affrontano nuove situazioni e soluzioni di gioco. Certo non è simpatico farlo sotto gli occhi di osservatori esterni soprattutto se sono i genitori. Per contro, tuttavia, fa piacere seguire ed essere seguiti nel lavoro tecnico tattico, mostrare il proprio impegno e le proprie qualità come fanno gli altri compagni, tutti assieme, in un momento in cui si è tutti equivalenti senza preoccupazioni di formazione o sostituzioni.
Che fare allora? Consentire la presenza ai genitori oppure vietarla? Possiamo immaginare che i pareri e le esperienze al riguardo siano diversi. In effetti gli allenamenti diventano spesso un’area di confine tra pubblico e privato, dove finiscono per scontrarsi il diritto dell’allenatore a lavorare, anche a riprendere i giocatori se è il caso, e il diritto del genitore a poter seguire il figlio e i suoi progressi. Occorre equilibrio, chiarezza e lucidità. Quello che non funziona, sicuramente, sono le prese di posizione, le scelte rigide, inflessibili, in un senso o nell’altro.
Si dunque alla presenza dei genitori, ma non sempre. Non prima o dopo gare delicate, e solo dopo aver chiarito e condiviso alcune condizioni. Niente commenti tecnici a voce alta, nessuna valutazione sugli esercizi e rispettare una certa distanza dal campo.
Se ben impostata, la presenza e il comportamento di mamme e papà può essere occasione di dare e sperimentare regole anche per gli stessi genitori. Che bello sarebbe se le sedute di lavoro settimanali fossero, anche per loro, un allenamento a ben comportarsi nel corso della partita.
TAG