SIAMO IN GRADO DI FARLO?
…e farlo fare. E correggerlo. E motivare a farlo. Perché altrimenti a cosa servono gli esercizi proposti. È quindi utile acquistare programmi che non sono in grado di applicare? O devo prima migliorare me stesso?
Venerdì 14 Agosto 2015 | Michele Di Cesare
Spesso leggo interessanti e accanite discussione sui social riguardo a questa o quella metodologia, piuttosto che sull’opportunità o meno di utilizzare lo stretching, se sia meglio statico o dinamico, e così via. Tutto molto giusto, ma poi quando osservo il lavoro del calciatore, a qualunque livello, mi accorgo che l’esecuzione degli esercizi è spesso scadente:
- per mancanza di spiegazione e dimostrazione;
- per carenza di attenzione;
- per la fretta di fare tanto in poco tempo.
In realtà, questa elencazione potrebbe proseguire, ma ciò che mi colpisce maggiormente e la pressoché costante mancanza d’intervento e correzione da parte degli staff tecnici… anche in questo a caso a qualunque livello. In pratica, constato una sorta di atteggiamento autoassolvente: “Io faccio il possibile, propongo il meglio, ma se poi il calciatore non s’impegna non ho il tempo (o forse la capacità?) necessario per intervenire. E quindi, con buona pace di tutti, in molti casi prima studio, mi documento e sostengo con forza le mie convinzioni… per poi arrendermi di fronte alla mia incapacità di trasmetterle al giocatore. E, sempre a qualunque livello, non investo quasi mai del tempo per accrescere la mia capacita di:
- trasmettere le competenze acquisite;
- motivare i giocatori;
- aumentarne la consapevolezza;
- coinvolgerli grazie a precisi obiettivi.
L’elenco, anche in questo caso, potrebbe proseguire, ma delego il compito a Daniela Oriandi, Isabella Gasperini e Roberto Mauri (i nostri psicologi, che sono più competenti di me in materia).
Eppure, misteriosamente, mentre continuo a spendere tempo nel cercare di accrescere le mie competenze tecnico-tattiche e sono pronto a sostenere con forza l’importanza del lavoro SOLO con la palla… poi mi arrendo di fronte a quasi ineluttabili esecuzioni precarie o insufficienti. In questo caso, forse, perché non ho la capacità di correggere? O semplicemente perché non c’è tempo? O forse perché per rincorrere la moda del momento non mi rendo conto che la disomogeneità del gruppo non mi permette di raggiungere gli obiettivi dell’esercitazione? O?
A questo punto s’impone un quesito: “È utile fare tanto e spesso male o maluccio o sarebbe meglio fare poche cose fatte bene, anche grazie alla mia capacità di spiegarle, dimostrarle e motivare i giocatori a perseguire un miglioramento?”. E quindi, ancora peggio, a cosa serve acquistare programmi preconfezionati, da chi non ha mai visto la mia squadra e non conosce i miei giocatori, se poi non sono in grado di applicarli?
Ecco perché proponiamo prove e test, nella sezione “Che giocatore sei?” per stimolare il giocatore e il tecnico a valutare qualità e progressi. Per promuovere la conoscenza e la condivisione dei dati (tra staff e giocatore). Quasi sempre, il calciatore è uno studente che non viene mai “interrogato”. Si valuta tutto con il proprio occhio, e poi non si spiega e non si indica la strada del miglioramento perché non si è in grado di farlo o non si ha tempo e voglia di farlo.
Abituiamoci invece a porre obiettivi, indicare la strada per raggiungerli, per poi valutare assieme i progressi, rendendo consapevole il giocatore dell’importanza di quanto si sta facendo e dei motivi che dovrebbero spingerlo a farlo correttamente. Buon lavoro.
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